Adelphi: PICCOLA BIBLIOTECA ADELPHI
La Regina di Saba
di Gérard de Nerval
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2013
pagine: 200
Da Adamo, statua di fango, Eva ebbe Abele, amato da Geova; da Eblis, il Satana arabo (nella Bibbia, il Serpente), ebbe Caino, che per Geova fu sin dall'inizio una spina nel fianco. Le due discendenze - i Figli del Fango e quelli del Fuoco - popolarono la Terra. Ai primi toccarono la ricchezza, il potere politico, una saggezza languida e pomposa; ai Figli del Fuoco, l'abilità tecnica, il sentimento vivo dell'arte e della grandezza, l'oscura ferita di una colpa e il risentimento per le ingiustizie patite, la fatica, la solitudine, la miseria. Il mito delle due razze è lo sfondo su cui Gérard de Nerval collocò questo fantasy. Frammenti di leggende bibliche, coraniche e massoniche danno vita a un mito radicalmente nuovo. Da un lato c'è un discendente di Adamo, Solimano ben Daud (Salomone figlio di David), che vorrebbe la gloria di poeta e l'immortalità; dall'altro, nato dalla stirpe di Eblis, il suo capomastro Adoniram, che sogna di emulare gli splendori dell'epoca prima del Diluvio, e, guidato da Tubal-Kain, figlio di Caino, scende nel Regno sotterraneo, dove vede la tomba di Adamo, la pietra di smeraldo che occupa il cuore della terra, le immense serre infuocate dove gli Gnomi coltivano i metalli. Entrambi amano la Regina di Saba, vero cuore del racconto, padrona di un anello magico cui obbediscono gli Spiriti aerei - e incarnazione luminosa della capacità femminile di trasformare in ragione, poesia e grazia gli enigmi più tenebrosi.
Gli aforismi di Siva
di Vasugupta
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2013
pagine: 323
Composti nel IX secolo, "Gli aforismi di Siva" (Sivasutra) sono una delle opere basilari del cosiddetto Sivaismo del Kashmir, o Trika, "Triade". Riscoperti solo nel Novecento, gli insegnamenti delle scuole Trika - che rientrano nell'ambito più vasto del Tantrismo e sono improntati a un non-dualismo radicale (paramàdvaita, "supremo non-dualismo") - si sono andati rivelando i più alti raggiungimenti della speculazione e della spiritualità indiana di ogni tempo, e hanno attratto un numero crescente di studiosi e di ricercatori, dall'India all'Europa agli Stati Uniti. Secondo l'insegnamento essenziale del Tantrismo, il progresso spirituale deve essere visto non già come un cammino di negazione e di rinuncia, ma come una coltivazione e intensificazione di tutte le linee di energia che animano l'esistenza ordinaria e, in primo luogo, l'individuo nella sua fisicità e nelle sue pulsioni, compresa quella sessuale. Il mondo non appare quale un fosco e incerto sogno da cui risvegliarsi al più presto, ma come la spontanea espressione del divino, che per suo tramite si manifesta liberamente. In miracoloso equilibrio, il Tantrismo kashmiro si muove tra spiritualità, epistemologia e una avanzatissima speculazione che apre l'esperienza religiosa e filosofica alla contemplazione estetica - ed è proprio negli ambienti tantrici sivaiti che il pensiero estetico si definisce nella sua forma più compiuta, elegante ed estrema.
Goethe muore
di Thomas Bernhard
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2013
pagine: 111
In questo piccolo gioiello c'è in nuce tutto Bernhard: qui si ride, ci si commuove e si pensa. Il racconto che dà l'irriverente titolo al volume vede il Titano, ormai allo scorcio della vita, in fase di bilanci. Ha capito che la letteratura conta poco o nulla, e non gli resta che un unico desiderio: incontrare Wittgenstein. Convoca dunque a Weimar il filosofo, innescando una serie di esilaranti peripezie. Figura centrale nell'opera di Bernhard, Montaigne svetta nella seconda prosa, dove vediamo un giovane angariato dai genitori rifugiarsi nella torre avita e trovare lì l'unica alternativa all'orrore familiare: i libri, e nella fattispecie i libri di Montaigne. Se la famiglia è il luogo del castigo, della reclusione, dell'odio, della distruzione psicofisica, la torre, la biblioteca, i filosofi sono l'unica salvezza. Ilare e straziante è il terzo racconto, in cui due amici si incrociano in una stazione ferroviaria. E uno dei due si lascia andare a un continuo, trascinante "ti ricordi...?": ecco allora risorgere l'infanzia e genitori sadici, amanti della montagna, che costringono la prole ad arrampicarsi a ora antelucana, bardata con calzettoni e berretti rossi (per non sfuggire al soccorso alpino...). E se la madre, dispensatrice di ceffoni fisici e morali, pizzica sulla vetta la sua ridicola cetra, il padre affida a un album da disegno oscene vedute alpestri. A suggellare il congedo dai genitori sarà un grande falò di calzettoni rossi.
Da Moby Dick all'Orsa Bianca. Scritti sulla letteratura e sull'arte
di Anna Maria Ortese
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2011
pagine: 187
Hemingway era "un pezzo di cielo, e una fitta di sole" scriveva Anna Maria Ortese nel luglio del 1961 commentando, commossa, l'improvvisa scomparsa di colui che le sembrava appartenere ad anni "non ancora macchiati da carneficine o tumefatti in ghiacci spaventosi" e a una generazione di padri-leoni dalla "santità animale", estranei a una intelligenza "che oggi ha scarnificato l'uomo": con le sue opere, infatti, Hemingway proclamava l'esistenza del Tutto di cui l'uomo è parte, e attraverso i suoi occhi ragionava tranquilla e maestosa la Natura. Non v'è dubbio: chi cercasse in questi scritti che coprono oltre cinquantanni di attività giornalistica (dal 1939 al 1994) accorte recensioni, sagaci squarci di storia letteraria, dotte e politiche riflessioni sul romanzo sarebbe del tutto fuori strada. Il metodo di lettura di una uncommon reader come la Ortese ha a che vedere anzitutto con quella "doppia vista" di cui andava dolorosamente fiera e che, quando discorre di Leopardi o di Anna Frank, di Cechov o della Morante, di Saffo o di Thomas Mann, le consente di mettere subito a fuoco, con temeraria sicurezza, la loro profonda necessità in rapporto al compito della vera letteratura: che dev'essere, sempre, "un'autentica voce, un richiamo, un grido che turbi, una parola che rompa la nebbia in cui dormono le coscienze, il lampo di un giorno nuovo". Compito radicale, nobile, impervio - incidere sull'ordine delle cose -, al quale corrisponde un linguaggio lontano anni luce dalla critica letteraria.
Il malinteso
di Irène Némirovsky
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2010
pagine: 190
"L'amore, mia cara, è un sentimento di lusso!": questo cerca di spiegare una madre che ha molto vissuto (e che dalla vita ha imparato una grande lezione: "Dare pochissimo e pretendere ancora meno") alla figlia innamorata e infelice. Ma lei, Denise, non lo capisce: quando suo marito glielo ha presentato sulla spiaggia di Hendaye, Yves le è apparso come un giovanotto elegante, raffinato, di bell'aspetto; e poiché alloggiava nel suo stesso albergo, ha creduto che fosse ricco quanto l'uomo che ha sposato, e a cui la lega un affetto tiepido e un po' annoiato. Poi il marito è stato richiamato a Londra da affari urgenti, e quelle giornate di settembre "piene e dorate " sono state come un sogno: la scoperta della reciproca attrazione, le passeggiate, le notti d'amore. Il ritorno a Parigi ha significato anche un brusco ritorno alla realtà: no, Yves non è ricco, tornato dal fronte si è reso conto di aver perduto tutto, ed è stato costretto (lui, cresciuto in un mondo in cui "c'erano ancora persone che potevano permettersi di non fare niente") a trovare un impiego che lo avvilisce e lo mortifica. In questa cronaca di un amore sghembo, in cui si fronteggiano due inconsapevoli egoismi, la giovanissima Irène Némirovsky sfodera già il suo sguardo acuminato e una perfetta padronanza della tecnica narrativa.
La melodia del giovane divino. Pensieri-Racconti-Critiche
di Carlo Michelstaedter
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2010
pagine: 242
Oltre a La persuasione e la rettorica - nato come tesi di laurea su questi concetti in Platone e Aristotele e sviluppatosi poi fino a diventare uno dei testi decisivi del Novecento italiano -, al Dialogo della salute e alle Poesie, Michelstaedter ha lasciato un'impressionante mole di scritti. Impressionante tanto più se si pensa alla brevità di una parabola esistenziale conclusasi, il 17 ottobre 1910, con il suicidio a soli ventitré anni, e in cui è impossibile non cogliere il segno di un audace programma: "...e farai di te stesso fiamma". E sono proprio questi 'scritti vari' - ovvero il laboratorio segreto di Michelstaedter -, di cui il suo maggiore specialista ci offre ora una silloge che copre il cruciale periodo 1905-1910, a fornirci una chiave per penetrare l'enigma di un'attività speculativa solitaria e radicale, che pareva, con la tesi di laurea, essere giunta a maturazione per vie misteriose, e che invece si rivela qui tumultuosamente ma caparbiamente preparata. Che rifletta sulla catarsi tragica o sulla «via della salute», che si sperimenti in favole o parabole, che reagisca a caldo a una pièce di Ibsen o di D'Annunzio o a un concerto, infatti, il pensiero di Michelstaedter sembra accanirsi intorno a un nucleo eroico e rovente: l'uomo «deve ricrearsi nell'attività col suo spirito per creare il valore individuale».
Il suicidio e l'anima
di James Hillman
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2010
pagine: 310
Se il suicidio è certamente il più violato fra i tabù -oggi più che mai, come testimoniano le cronache -, rimane nondimeno, nella percezione comune, lo scandalo supremo, il gesto inaccettabile. Il diritto lo ha giudicato per molto tempo un reato; la religione lo considera peccato, condannandolo come atto di ribellione e apostasia; la società lo rifiuta, tendendo a sottacerlo o a giustificarlo con la follia, quasi fosse l'aberrazione antisociale per eccellenza. E non si può dire che siano mancate riflessioni e analisi - da John Donne a Hume, da Voltaire a Schopenhauer, da Durkheim alla messe di studi psicologici e psichiatrici - volte a spiegarlo. Il problema, nella sua essenza, è rimasto intatto. James Hillman capovolge qui ogni prospettiva. Come egli stesso scrive, non senza vigore polemico, questo libro "mette in discussione la prevenzione del suicidio; va a indagare l'esperienza della morte; accosta la questione del suicidio non dal punto di vista della vita, della società e della "salute mentale", bensì in relazione alla morte e all'anima. Considera il suicidio non soltanto come una via di uscita dalla vita, ma anche come una via di ingresso nella morte". Poiché nell'esperienza della morte l'anima trova una rigenerazione, l'impulso suicida non va necessariamente concepito come una mossa contro la vita, ma come un andare incontro al bisogno imperioso di una vita più piena. Più che di essere spiegato, ci dice in sostanza Hillman, il suicidio attende di essere compreso.
Fatti diversi di storia letteraria e civile
di Leonardo Sciascia
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2009
pagine: 294
I faits divers - sottolineava Sciascia presentando nel 1989 la sua terza raccolta di articoli e saggi dispersi - sono "quelli che noi diciamo fatti di cronaca, cronache quotidiane, cronache a sfondo nero, passionali e criminali spesso, sempre di una certa stranezza e di un certo mistero". "Fatti diversi" vale dunque "parodisticamente, paradossalmente e magari parossisticamente, cronache: a render più leggera la specificazione, di crociana ascendenza, di storia letteraria e civile". Ma anche a ribadire, si vorrebbe aggiungere, la fedeltà a un metodo in cui alla pertinacia del detective si accompagna l'urgenza di verità, all'erudizione dell'enciclopedista la fabula, alla volontà di ribadire la ragione della memoria "il senso e il senno dell'oggi". La raccolta si apre sull'interrogativo "Come si può essere siciliani?", e prosegue poi con "inquisizioni" che hanno al centro la Sicilia e insieme la letteratura, il cinema, la pittura, la fotografia.
Friedrich Hölderlin. Vita, poesia e follia
di Wilhelm Waiblinger
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2009
pagine: 99
Quando, intorno al 1822, il diciottenne Wilhelm Waiblinger comincia a frequentarlo, Hölderlin vive ormai da oltre vent'anni recluso nella "Torre" in riva al Neckar, obnubilato, isolato dal mondo - non è più, insomma, "da considerarsi tra i vivi". Va su e giù come "le fiere ... nelle loro gabbie", suscitando in Waiblinger un brivido di orrore, recita giorno e notte un monologo incessante, e rivolge ai rari ospiti un profluvio di parole sconnesse in una lingua inventata. Mosso da un'ardente devozione, Waiblinger scruta con amorevole pietas la vita quotidiana del poeta, ma, soprattutto, riesce a penetrarne il delirio, parlando con lui di poesia, di musica e del passato, facendo in sua compagnia lunghe e rasserenanti passeggiate in riva al fiume o nella pace delle vigne. Di questa intensa frequentazione Friedrich Hölderlin, che Waiblinger scrisse tra il 1827 e il 1828 in Italia - dove si era trasferito per sfuggire alla miseria e all'autodistruzione -, è il frutto: un ritratto fra novella romantica e dramma del destino, in cui il lettore troverà delineati la giovinezza di Hölderlin e i suoi studi, le passioni e gli amori infelici (come quello per Susette Gontard, la sua Diotima). Ma, al tempo stesso, molto di più: Waiblinger fu il primo a intuire la grandezza di Hölderlin, a cogliere il valore dei suoi manoscritti, a interrogarsi sul tormentato processo della sua scrittura, sicché questa testimonianza assume il peso di un precoce, essenziale gesto di fondazione critica.
Nanna o L'anima delle piante
di Gustav T. Fechner
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2008
pagine: 141
Nel 1848, l'anno delle rivoluzioni, Gustav Theodor Fechner, fisico e filosofo, contesta audacemente la rigida gerarchia che colloca gli esseri viventi - uomini animali e piante - su una scala discendente, dai superiori agli inferiori, ponendo questi ultimi al servizio dei primi: "Perché non ci dovrebbero essere, oltre le anime che camminano, gridano, mangiano, anche anime che silenziosamente fioriscono e spandono odori?". Muovendo dalla concezione panpsichista dell'universale animazione della natura, Fechner procede attraverso osservazioni scientifiche, confutazioni logiche e, all'occasione, provocazioni: in fondo anche "le piante si nutrono degli uomini e degli animali", ovvero dell'anidride carbonica prodotta dai polmoni e degli effetti della decomposizione. Ma il suo intento non è sovvertire, bensì ricondurre a unità. Acquistano allora sommo valore l'analogia, la poesia come strumento di conoscenza, come "natura che si fa strada attraverso le idee di cui l'istruzione ci ha artificialmente imbevuti". E il lettore, irretito dalla profondità speculativa, dalla preveggenza scientifica, dalla nitidezza di questo libro, non potrà non riconoscere in Fechner uno dei più grandi tra quei filosofi romantici della natura che avrebbero avuto una decisiva influenza, per esempio su Jung.
Il Demiurgo e altri saggi
di René Guénon
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2007
pagine: 313
I saggi qui riuniti, apparsi originariamente in riviste oggi di difficile reperimento, coprono un arco temporale che abbraccia l'intero periodo creativo di Guénon, dal 1909 al 1950. La visione metafisica di Guénon appare già compiuta fin dal primo saggio sul Demiurgo - pubblicato a ventitré anni -, in cui egli affronta il millenario quesito "unde malum?", rispondendo con la disinvoltura e la meticolosità di chi svolga una dimostrazione di ciò che dovrebbe risultare a tutti ovvio, o perlomeno facilmente desumibile da alcune nozioni universali di immediata evidenza, quali l'infinito, l'essere e il non-essere, il manifestato e il non-manifestato, l'unità e la molteplicità. E fedele a quella visione, incentrata sugli assiomi che nelle civiltà tradizionali definiscono l'ordine del mondo e il percorso iniziatico di realizzazione spirituale, Guénon nei quarant'anni successivi si adopera instancabilmente a rettificare le confusioni di pensiero e le aberrazioni terminologiche che vede diffondersi nel mondo moderno, chiarificando con puntiglio i rapporti fra monoteismo e angelologia, il significato delle idee platoniche, la distinzione fra spirito e intelletto, le valenze metafisiche della produzione dei numeri e della notazione matematica.
Il mio Oriente
di Arthur Schopenhauer
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2007
pagine: 225
Fra i molti elementi controcorrente che resero celebre Schopenhauer presso una ristretta cerchia di contemporanei e contribuirono nel Novecento a trasformarlo in oggetto di culto per una ben più folta schiera di appassionati vi è senz'altro la lungimirante apertura nei confronti del mondo, della cultura e della religiosità dell'Oriente, in particolare dell'India. Alcuni, da Nietzsche a Hesse, videro in ciò il segno di una inarrivabile libertà intellettuale: per Schopenhauer non la Grecia, non Roma, non il Cristianesimo rappresentano la culla e l'età dell'oro dell'umanità - e, quindi, dell'Europa - bensì l'India, il Brahmanesimo e il Buddhismo. Certo egli non fu il solo a pensarlo, giacché una sorta di indomania caratterizzò l'intera cultura romantica. Schopenhauer fu però il primo e unico filosofo a inserire organicamente l'India in un poderoso sistema di pensiero, facendone il cardine della sua metafisica e della sua etica: "Buddha, Eckhart e io insegniamo nella sostanza la stessa cosa" annotò due anni prima della morte, consapevole di imprimere così il proprio sigillo di verità a un'opera destinata a permanere.